RIFORMA DELLE ISTITUZIONI IN ITALIA: TRA SPERANZE E DUBBI, IL NUOVO CAPITOLO DI GIORGIA MELONI

E così anche Giorgia Meloni ha messo in agenda la riforma delle istituzioni, proprio come i governanti italiani fanno esattamente da 40 anni (qua- ran-ta). Vado a memoria, solo fermandomi alle commissioni bicamerali istituite per ottenere l’obiettivo. Nel 1983 nasce la commissione Bozzi, con lo scopo di “formulare proposte di riforme costituzionali e legislative”. Il tentativo muore dopo due anni, senza lasciare tracce particolari.
Tra il 1993 e il 1994 è all’opera il duo De MIta- Iotti: le proposte della commissione vengono accantonate per lo scioglimento della legislatura.
Nel 1997 è D’Alema a presiedere una bicamerale, il cui disegno ambizioso viene stroncato per le gelosie tra Berlusconi e Fini. Finita la stagione delle Bicamerali, si procede per vie diverse. Prima con Calderoli, le cui proposte vengono messe in votazione e bocciate con referendum nel 2006.
Successivamente arriva una bozza Violante nel 2007, che si arena per lo scioglimento delle Camere del 2008.
Si riprende a parlare di riforme nel 2013, con un gruppo di lavoro istituito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si conclude con una bella relazione al Parlamento. Per arrivare infine alla riforma Boschi-Renzi del 2014, sottoposta a referendum e bocciata nel 2016.
E questo elenco tace di innumerevoli dibattiti in aula su temi specifici, di commissioni ad hoc, della circolazione di varie bozze predisposte da gruppi di lavoro, e così via.
Ora, la domanda semplice da porsi è la seguente: se, a otto anni dalla bocciatura in sedereferendariadell’ultimariformasistemica proposta da Renzi, il tema torna in campo su iniziativa, in prima persona, della Premier, è perché il tema è effettivamente importante, oppure è l’ennesima riproposizione di un clamoroso diversivo che i politici agitano da quarant’anni solo per trovare un alibi ai loro insuccessi? Messa in maniera cruda, la questione si pone in questi termini.
Le risposte non ammettono vie di mezzo. Ci sono molti italiani che ritengono i dibattiti sulla riforma delle istruzioni inutili e fuorvianti. Li ritengono tipici temi da “casta”, che non hanno alcun impatto sulla vita dei cittadini, e riguardano solo gli equilibri interni al ceto politico. Come se il modo di funzionare di un’istituzione non possa aumentare o diminuire, in relazione alle regole che si dà. Un po’ come dire che se metti in campo Maradona o Totti, vinci con le regole del calcio come con quelle del rugby.
Il tema è effettivamente importante, oppure è l’ennesima riproposizione di un clamoroso diversivo che i politici agitano da quarant’anni solo per trovare un alibi ai loro insuccessi?
Converrete (detto che la politica italiana non dispone né di Maradona né di Totti) che questo è un modo di ragionare piuttosto bizzarro. Un sistema vince oppure no (insomma funziona, per uscire dalla metafora) se si conforma alla società in cui vive, e quindi se aggiorna le sue regole, le verifica alla luce del mondo che cambia, e trova il modo di rappresentare le istanze dei cittadini nella maniera più adeguata. Che poi la cosa riesca, è tutto da vedere. Purtroppo, quando si discute di regole, le forze politiche danno il peggio di sé. Ognuno pensa al proprio interesse ristretto.
Raramente si ragiona in un’ottica di sistema, che richiede la maturità di sapere fare dei compromessi, venendo meno a proprie preferenze per fare prevalere il superiore interesse generale.
Vedremo come andrà stavolta. I precedenti autorizzano un certo pessimismo. Ma noi non ci rassegniamo.